Da specialista e storico dell’arte quali sono i gap nel mondo dell’arte che non consentono l’incontro tra i giovani e il lavoro?
Manca l’iniziativa pubblica, un paese che ha una grossa fetta del patrimonio artistico mondiale non può ridurre i costi di gestione, a lungo termine è una scelta suicida. Non investendo su una delle principali risorse del paese non si crea la possibilità di rendere più utili queste risorse e si lascia il tutto in una situazione assurda per certi versi. I costi di preservazione del patrimonio sono pubblici ma tutto ciò che si può dare degli utili è concesso ai privati, in questa situazione di poco intervento pubblico si innesca un circolo vizioso che porta da nessuna parte.
Ad un giovane appassionato di arte che consigli può dare?
Da una parte si fa un lavoro bellissimo essendo anche un campo molto affascinante che da soddisfazioni, in fondo ci occupiamo per lavoro di ciò che gli altri fanno in vacanza:
visitiamo musei, mostre, luoghi storici. D’altro campo si sa, trovare occupazione nel mondo dell’arte purtroppo è difficile perchè dal lato pubblico, investe molto poco e ci sono
di conseguenza molti meno concorsi pubblici rispetto a 30 anni fa, dall’altra parte
se si lavora coi privati è più semplice trovare lavoro, col grosso limite che il privato
si occupa di arte per un ritorno economico che gli permette di rimanere in piedi,
ciò è contraddittorio. Quando ho cominciato alla fine degli anni ‘80 la situazione era molto diversa, si viveva un clima di maggiore entusiasmo perchè c’era molta fiducia nei riguardi
di questo affascinante mondo, anche perchè il ministero dei beni culturali, istituito nel ‘74,
aveva dato grande slancio alla riscoperta del patrimonio, e negli anni ‘80’ si parlava dei giacimenti culturali, indicandoli come ‘petrolio italiano’, una risorsa pubblica e produttiva, in grado di dare slancio a settori dell’economia. Le cose poi sono andate diversamente, un po’ perchè il pubblico
ha investito sempre meno, non sono state date agevolazioni fiscali ai privati che incentivassero
a investire in modo liberale nel settore e sempre più si è messa in atto l’abbinamento dei beni culturali al turismo, che di per sè è un giusto ragionamento ma così si guarda ai beni culturali
in funzione della loro attrattività turistica. Ciò può risultare un abbinamento culturale giusto
ma di base non è così, poiché nella pratica ne viene fuori un problema di ‘’pesi specifici’’,
per cui alla fine allo stato risulta una visione negativa sui beni poiché la manutenzione costa,
e pone luce sul turismo che dà entrate economiche. Si tratta di un abbinamento improprio
che ha portato a scelte recenti controproducenti per lo stesso settore guardando solo al lato economico e turistico, tralasciandone la cura e lo studio.
Lei ha partecipato al progetto di Actl, Fedora, che attraverso percorsi umanistici e l’acquisizione di competenze digitali nell’arte si occupa di aiutare i giovani ad avvicinarsi al mondo dell’arte. In che modo secondo lei il digitale può aiutare l’arte e l’occupazione dei giovani?
Dico intanto che il progetto Fedora approfondisce questo lato che manca completamente nei percorsi di studi statali. Come sappiamo tutti, avere queste competenze è fondamentale ad oggi per la tutela e catalogazione dei beni culturali, quest’ultimo dato però varia a seconda delle regioni, in Lombardia ad esempio è stato fatto un ottimo lavoro. Bisognerebbe aprirsi al campo dell’arte digitale, come gli NFT, opere realizzate online acquistabili solo digitalmente, si stanno creando un mercato. Per un giovane avere queste competenze è basilare.
Nel mondo artistico per gli studiosi quanto è importante i social e il digitale?
Credo sia importante e poco praticato, soprattutto tra persone nate negli anni ‘60 come me, ma comunque non so quanto sia praticabile una cooperazione digitale a livello di studio poiché ci si affida ad oggi ancora ai libri e alla biblioteca, alla lettura di contributi scientifici.
Le riviste di storia dell’arte online anche sono ancora molto poche e poco seguite, quindi da questo punto di vista la situazione attuale non rende fondamentale questo tipo di collaborazione. La condivisione di notizie di mostre e di informazioni divulgative però è centrale. A ciò si aggiunge la nascita della comunicazione rivolta al pubblico online e qui a livello comunicativo ci sono novità, alcuni storici hanno creato una sorta di linea parallela anche ironica alle volte, della storia dell’arte, online. Se si ha iniziativa e voglia di stare nella visibilità pubblica si apre quasi un campo da influencer.
Cosa potrebbe fare la scuola per avvicinare i giovani al mondo dell’arte e della cultura e per dare loro un futuro?
Innanzitutto ricordo che la scuola pubblica ha ridotto drasticamente le ore di storia dell’arte a secondo degli indirizzi, qui ritorna sempre l’approccio suicida di cui parlavo poichè è lo Stato stesso che sceglie di tagliarsi le radici. Al di là di questo però c’è un problema di cultura generale. Mi è capitato di andare in Cina e di rimanere lì per un po’ e sono rimasto molto colpito come un paese così avanti sulla tecnologia, e con un passato culturale che ha preferito cancellare per abbracciare una cultura Marxista, abbia dimostrato tale apertura. Oggi abbiamo un fenomeno opposto: Il governo cinese ha aumentato le ore di insegnamento delle discipline umanistiche quali l’arte, il teatro la filosofia. Ciò va di pari passo con la valorizzazione dei siti archeologici e degli scavi. Negli ultimi 10 anni in Cina si inaugura in media un museo al giorno, il che è un valore tanto incredibile quanto impressionante. C’è dunque un grande investimento pubblico e una grande incentivazione dei privati a versare le loro ricchezze nel collezionismo e nei musei privati. Ciò non solo ha fatto accrescere il mercato del collezionismo e dell’arte contemporanea, ma anche il numero dei collezionisti di arte antica cinesi. Viene certo in mente la retroazione di tutto ciò che è quello di tipo identitario della Cina e di riconoscimento storico. Un po’ come in epoca fascista c’è stata una forte valorizzazione dell’arte romana per accrescere l’affermazione dell’identità corrente. E’ un fenomeno con luci e ombre. se immagino ciò che possa fare l’italia per valorizzare il suo patrimonio artistico la risposta ricade sempre sull’aumento degli investimenti pubblici in un settore che dovrebbe ritenere fondamentale, anche con corsi di assunzione. Oggi si sa, si entra in questo mondo fondamentalmente per conoscenze, ciò è disincentivante. Una valutazione oggettiva è quasi rarità ormai e come ricaduta negativa si ha che gli studenti delle facoltà umanistiche diminuiscono. Non sono un economista ma se lo Stato contrae un settore, a prescindere genera un meccanismo negativo su tutti gli ambiti di quel settore, in Italia ad esempio il collezionismo sta quasi scomparendo. La consapevolezza cinese diventa un modello da cui prendere esempio.
Se si vuole dare voce a tutte le realtà italiane in nascita è bene iniziare ad agire diversamente da come si è fatto.