Le imprese culturali e i social network
Una chiacchierata con Benedetta Marchesi, Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa del Museo Bagatti Valsecchi di Milano
Al giorno d’oggi, tutto passa attraverso il web e in particolare attraverso i Social Network, che si evolvono alla velocità della luce offrendo continuamente nuove forme di interazione agli utenti. La proliferazione dei più svariati contenuti è al contempo croce e delizia: a fronte di un basso livello di controllo sulle informazioni messe in circolo, è innegabile quanto, grazie a questi nuovi strumenti di comunicazione, sia possibile raggiungere un vasto pubblico a costi contenuti. Il pubblico, a sua volta, ha a disposizione un nutrito ventaglio di iniziative, contenuti, informazioni, come mai prima d’ora. Risalendo un’impetuosa corrente di fake news e articoli sensazionalisti, aguzzando la vista, ci si imbatte anche in informazioni di valore, che davvero permettono di approfondire e conoscere eventi, personaggi, iniziative, che con molta probabilità, se espresse solo tramite canali “tradizionali” – a titolo di esempio stampa e tv-, sarebbero rimaste sconosciute ai più. Approfondiamo il tema con Benedetta Marchesi, giovanissima Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa del Museo Bagatti Valsecchi di Milano.
Tradizionalmente i Musei vengono associati al passato, alla storia e li si concepisce come entità immutabili, al di fuori del tempo e quindi in un certo senso “indifferenti” al progresso tecnologico. Qual è il tuo punto di vista su questo tema, in relazione alla tua esperienza al Bagatti e in generale rapportando il mondo dei social alle imprese culturali?
I Musei hanno il compito di farsi testimoni del passato, attraverso le proprie collezioni, trovando il modo giusto per parlare al pubblico presente (possibilmente guardando al futuro). Posto questo come assunto è fondamentale, a mio avviso, che i social network vengano utilizzati come strumento di comunicazione che affianca e supporta il più tradizionale ufficio stampa, del sito, della newsletter e di tutti gli altri mezzi tipici, per raggiungere un più ampio pubblico possibile. I social non sostituiscono gli altri strumenti, vanno solo a integrarsi ad essi, proponendosi come più adeguati per certi tipi di target e per utilizzare un certo tipo di linguaggio, più leggero e amichevole. Se un Museo o un’Istituzione sceglie di aprire dei canali social è però fondamentale che lo faccia con consapevolezza e una certa lungimiranza: è un’attività istituzionale da usare con cautela, costanza e intelligenza. Se ben sfruttati i canali social possono raggiungere persone che mai avrebbero messo piede nel Museo (grazie a foto accattivanti, didascalie coinvolgenti, magari video/reel o le altre opportunità messe a disposizione dai differenti canali); d’altro canto un canale utilizzato con un
linguaggio forbito e complesso, più adeguato ad un testo critico, può rischiare di portare il risultato opposto: quello di radicare il pubblico nell’idea che il Museo sia un luogo borioso e difficile da godere. Detto questo credo fermamente che Facebook, Twitter, Instagram siano tutte piattaforme non necessarie: se dopo attente valutazioni si reputano non strategiche si possono chiudere, certamente però non vanno lasciate morire o infarcite di contenuti in maniera saltuaria e casuale. L’istituzione ne perde in credibilità, come ne perderebbe con pubblicazioni imprecise, cartellonistica sbagliata o informazioni mal date. I social network rientrano a pieno titolo nel complesso e articolato mondo dell’immagine istituzionale (o, per dirla
all’anglofona, della brand identity) e come tale va salvaguardata e curata.
Posso chiederti un esempio di una campagna social particolarmente di successo per il vostro Museo?
Nel primo Lockdown è stato molto apprezzato il ciclo dei #FORSENONSAPEVICHE, cinque video realizzati con il conservatore che raccontava un oggetto meno noto della collezione. La nostra è una casa Museo con oltre quattromila pezzi in collezione, alcuni più curiosi e sui quali balza l’occhio al momento della visita, altri più nascosti o più difficili da notare o capire. Abbiamo deciso di focalizzarci su questi ultimi, per esempio un set di posate da viaggio o il wc, e sembra (numero di visualizzazioni alla mano) che il pubblico abbia molto apprezzato. Come per tutta la comunicazione web, abbiamo cercato di mantenere un tono di voce che fosse più divulgativo e accessibile possibile, senza semplificare i contenuti. Visto l’entusiasmo del pubblico stiamo già lavorando ad una nuova serie di “pillole del conservatore”. Un altro esempio di campagna, ancora in corso, ma che sta funzionando molto bene è la rubrica settimanale che raccoglie i ricordi positivi dello staff, legati al proprio lavoro in Museo. È un modo non solo per dare l’occasione al pubblico di scoprire quanti e quali professionisti ruotano attorno al Museo, ma è anche un modo per mostrarsi più “vicini e reali”.
Sono state messe in campo strategie comunicative ad hoc, nel periodo della pandemia?
Durante i mesi di chiusura ci siamo posti come obiettivo quello di rimanere noi stessi, senza peccare di presenzialismo e senza perdere la nostra identità. In un mare magnum di conferenze, dirette, concerti, virtual tour che tutti proponevano abbiamo cercato di restare fedeli alla nostra programmazione, convertendo, per quanto possibile, l’offline in online. Sottolineo però il “laddove possibile” perché per alcune attività abbiamo preferito non portarle sul web per non mettere in difficoltà interlocutori più delicati o qualora mancassero le competenze tecniche per pubblicare progetti soddisfacenti. Oltre ai video con il conservatore abbiamo creato un calendario dedicato ai più piccoli con la lettura-video della Favola ambientata al Museo e una piccola attività settimanale che arrivava tramite newsletter, legata ogni volta
ad un personaggio differente della storia letta.
Di seguito il link con i video legati all’iniziativa #FORSENONSAPEVICHE, citata da Benedetta Marchesi.
https://youtube.com/playlist?list=PLaVnX6rNienRDBl7jonCxyzCRDO-g0h40
Interviste|Social
2023-02-13 10:00:14
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